Come si cucina il pesce: metodi più utilizzati – Il pesce è molto più tenero della carne e, di conseguenza, i suoi tempi di cottura sono inferiori. Per il resto non vi sono molte differenze e, per rendere le vostre ricette particolarmente gustose, ci sono vari metodi per preparare questo alimento, a seconda delle dimensioni, del tipo e del piatto che si vuole creare.
- In genere possiamo distinguere fra cottura alla griglia, al vapore, in crosta, al cartoccio, nei liquidi, arrosto, saltato e fritto.
- Per ognuna di esse vi sono degli accorgimenti per ottenere ottimi risultati e piatti da veri chef.
- Cucinare un pesce intero di medie-grandi dimensioni, come orate, spigole, cernie può creare dei problemi circa il metodo da usare, la temperatura ed il tempo di cottura.
In genere, quando vengono messi al forno (parliamo di pesci fra i 500 ed i 700 gr) bisogna impostare una temperatura di 200° e lasciarli per circa 25 minuti, trascorso questo tempo è il caso di controllare se le branchie siano passate da rosa a marroni e, sollevando il ventre, che la carne sia diventata opaca.
Infatti non c’è nulla di peggio che trovare la vostra cernia o la vostra orata con la parte attaccata alla lisca ancora rosata. Se il pesce è di maggiori dimensioni, oltre a praticare una incisione sul corpo, è necessario abbassare la temperatura del forno di una ventina di gradi ma aumentare il tempo di cottura fino a 35/40 minuti in modo da assicurare un risultato perfetto.
Potete anche calcolare un tempo di cottura in questo modo: 10 minuti ogni 2,5/3 cm di spessore del vostro pesce. Il metodo descritto in genere viene usato principalmente per alcuni tipi di pesce come la coda di rospo, il salmone, l’orata, il pesce spada o il tonno.
Cosa succede se mangi pesce non ben cotto?
Pesce crudo: i rischi –
- Ingerire pesce crudo che non è stato sottoposto ai necessari trattamenti per la sicurezza alimentare può provocare il rischio di contrarre infezioni e patologie, alcune con risvolti molto gravi.
- Il pesce infatti può essere contaminato con virus, batteri, larve e parassiti che normalmente vivono al suo interno interno o che si sviluppano a causa di microrganismi, tossine e alghe.
- Ciò vale sia per i pesci che per i frutti di mare, molluschi e crostacei.
Tra le patologie che possono generarsi dall’assunzione di pesce crudo contaminato ricordiamo l’epatite virale, la salmonellosi e la parassitosi intestinale. Sintomi comuni dell’intossicazione da pesce crudo sono crampi addominali, vomito e febbre,
- Una delle infezioni più comuni e pericolose è la Parassitosi Anisakis, provocata dall’omonimo parassita che normalmente vive nelle viscere del pesce.
- Quando quest’ultimo è in vita, il parassita non ha la possibilità di migrare nella carne, ma quando il pesce muore e deperiscono anche le difese immunitarie ecco che riesce a contaminare tutto ciò che finisce nel nostro piatto.
- Se colpisce in forma aggressiva o se non curata adeguatamente, la parassitosi può arrivare ad ostruire l’intestino o sfociare in peritonite.
- Per evitare di contrarre qualsiasi infezione dovuta alla contaminazione del pesce, il Ministero della Sanità ha emanato una legge che impone ai ristoratori di servirlo crudo solo se è stato precedentemente abbattuto ad almeno -20° e per un periodo minimo di 60 ore prima del consumo.
Le larve Anisakis, infatti, muoiono ad una temperatura superiore ai 60° ma anche a temperature molto basse. Nello specifico servono almeno 12 ore di abbattitura se la temperatura è -30°, mentre sono sufficienti 9 ore se congelato a -40°.
Come vedere se il salmone e cotto?
Come Capire quando il Salmone è Cotto: 11 Passaggi Il salmone è un pesce delizioso e adatto a una cena salutare. Può, infatti, essere saltato in padella, grigliato o brasato. Tuttavia, preparare il pesce a casa può rivelarsi difficile, perché è molto facile sbagliare la cottura cuocendolo troppo.
- Controllarne il colore e la consistenza può aiutarti a capire se è alla giusta cottura, ma usare un termometro è il metodo più sicuro per determinare se è cotto a puntino.
- Puoi comunque prevenire questo inconveniente preparando il salmone nel modo giusto prima di cuocerlo, in maniera da evitare di ritrovarti con un pezzo di salmone troppo asciutto.
Vediamo insieme come.
- 1 Premi sulla parte più spessa del filetto con la punta di un coltello. Per capire se il pesce è cotto dovrai controllare la parte interna. Per dare un’occhiata all’interno del salmone usa la punta di un coltello affilato e spingila attraverso la carne, circa a metà.
- Puoi usare una forchetta, ma il suo impiego potrebbe rovinare la presentazione del salmone.
- 2 Osserva il colore. Sebbene il pesce debba essere bianco opaco, beige o marrone all’esterno (a seconda del metodo di cottura), al centro dovrebbe ancora essere di un leggero rosa traslucido. Se il cuore del filetto è opaco, è molto probabile che sia troppo cotto. Se invece è completamente traslucido, allora occorre cuocerlo più a lungo.
- 3 Controlla se la carne del pesce cede troppo facilmente. Se il salmone si sgretola in piccoli pezzi, significa che è troppo cotto ed è diventato troppo asciutto. La carne del salmone dovrebbe invece essere resistente e cedere, sfaldandosi, quando premi il coltello al suo interno.
- 4 Togli il salmone dalla fiamma e lascialo cuocere ancora per qualche minuto. Se il salmone è opaco all’esterno, leggermente traslucido all’interno e ha una consistenza lievemente elastica al tocco, allora è cotto al punto giusto. Continuerà a cuocere per alcuni minuti a fiamma spenta, quindi rimuovilo dal fornello, dal forno o dalla griglia e lascialo riposare per circa cinque minuti prima di servire.
- Poiché il salmone continua a cuocere a fiamma spenta, puoi rimuoverlo senza problemi anche se non è ancora completamente cotto. Se invece aspetti che il centro diventi di un leggero rosa traslucido e che il pesce si sfaldi facilmente con la forchetta, il salmone sarà cotto alla perfezione allo scadere dei cinque minuti.
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- 1 Inserisci un termometro nella parte più spessa del salmone. Un termometro a lettura istantanea è l’ideale per controllare la temperatura del pesce. Assicurati di infilare l’estremità giusta e nella parte più spessa del pesce, perché quell’area avrà bisogno di più tempo per la cottura.
- Puoi acquistare un termometro a lettura istantanea nella maggior parte dei negozi di articoli per la casa e di attrezzi per la cucina.
- 2 Verifica che la temperatura raggiunga almeno i 43 °C, ma si mantenga sotto i 60 °C. Se la temperatura è sotto i 43 °C, il salmone è praticamente crudo. Tra i 43 °C e i 52 °C, il pesce ha una cottura media. Tra i 51 °C e i 60 °C, la cottura è da media a ottimale. Non lasciare che superi i 60 °C, perché diventerà duro e troppo asciutto.
- 3 Togli il salmone dalla fiamma e lascialo riposare per qualche minuto. Quando ha raggiunto la cottura desiderata, togli il pesce dal fornello, dalla griglia o dal forno. Lascialo riposare dai cinque ai dieci minuti per ultimare la cottura e infine servi. Pubblicità
- 1 Evita di rimuovere la pelle, a meno che tu non voglia bollirlo. Spellare il pesce significa rimuovere la barriera che lo protegge dal calore della padella, aumentando così il rischio di una cottura eccessiva. Va comunque bene lasciare la pelle, anche se devi bollire i filetti di salmone. Consiglio dell’Esperto Cuoca Esperta Vanna Tran è una cuoca amatoriale che ha cominciato a cucinare con sua madre da bambina. Si è occupata di catering per eventi e ha organizzato cene pop-up nella San Francisco Bay Area per oltre 5 anni. Vanna Tran, cuoca esperta, suggerisce: “Quando cucini un qualunque tipo di pesce con la sua pelle in padella, corri il rischio che la pelle si arricci, rendendo più difficile ottenere una cottura uniforme. Per prevenire questo inconveniente puoi incidere la pelle prima della cottura oppure adagiare un peso sul pesce mentre cuoce”.
- 2 Cuoci il salmone con la pelle rivolta verso il basso. Anche se decidi di lasciare la pelle, rischi comunque di cuocerlo troppo se non lo posizioni correttamente in padella o sulla griglia o sulla placca da forno. Evita di posizionare la carne del filetto direttamente sul calore o si cuocerà troppo velocemente.
- 3 Condisci il salmone prima di cucinarlo. Aggiungere sale e pepe è ovviamente la chiave per insaporire il pesce, ma se aggiungi il sale troppo tempo prima della cottura, finirà per assorbire tutta l’umidità, aumentando così il rischio di cuocerlo troppo. Aggiungi quindi sale e pepe poco prima di cucinare il salmone.
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- Finito!
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Quando cucini il salmone, scegli pezzi della stessa grandezza in maniera che possano essere pronti nello stesso momento. Un taglio centrale è solitamente l’opzione migliore per garantire uno spessore uniforme.
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- Un coltello affilato
- Un termometro a lettura istantanea
VT Questo articolo è stato scritto in collaborazione con Vanna Tran, un membro fidato della comunità wikiHow. Vanna Tran è una cuoca amatoriale che ha cominciato a cucinare con sua madre da bambina. Si è occupata di catering per eventi e ha organizzato cene pop-up nella San Francisco Bay Area per oltre 5 anni.
Come capire se si può mangiare il salmone crudo?
Vediamo come possiamo riconoscere un salmone di qualità – Se abbiamo modo di vedere il salmone intero, dobbiamo per prima cosa osservare la pelle: la pelle del salmone fresco è lucida, mentre se non è fresco è decisamente più spenta. La consistenza della carne del salmone, da fresca, deve risultare compatta, ben attaccata alla lisca ed elastica al tatto. Quando però ci avviciniamo alla postazione del sushiman non sempre abbiamo modo di vedere il salmone intero. Di quale altra osservazione possiamo allora servirci per capire se il salmone è fresco e di qualità o no? Di sicuro possiamo osservarne il colore: un buon salmone fresco deve avere un colore arancione o rosato molto intenso; diffidate di salmone dai colori pallidi e opachi.
Sempre osservandolo, bisogna accertarsi che non vi siano assolutamente macchie sulla superficie della carne, né chiare né scure: se per caso vi capitasse di vederne, non mangiatelo. Altro elemento indicativo della qualità e freschezza del salmone è l’odore: un salmone fresco e di qualità ha un odore leggerissimo di mare; se l’odore è troppo presente e non è esattamente quello delicato del mare, non si tratta di buon salmone.
La scelta delle materie prime per la preparazione del sushi è fondamentale: non è solo un discorso di qualità del prodotto, ma anche di salute di chi lo consuma e di serietà di chi lo serve. Con l’obbligo di abbattimento già si può stare tranquilli sulla salubrità del pesce, in questo caso il salmone, che troviamo sulle tavole dei ristoranti e dovunque venga servito sushi.
Ma dobbiamo imparare a pretendere i migliori prodotti, il miglior salmone per il nostro sushi: solo così saremo sicuri di poterci godere un prodotto rispettoso della grande tradizione giapponese e non un qualcosa di superficiale e commerciale fatto solo per il desiderio di sfruttare un trend fortunato.
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Cosa fare se ho mangiato pesce crudo?
Cosa mangiare – La prima cosa da fare per riprendersi dopo un’intossicazione alimentare è rimanere a digiuno, Bisogna lasciare lo stomaco per un po’ a riposo e non mangiare nulla né di liquido, né di solido. Non è difficile perché generalmente non si ha fame. Il cibo può essere reintrodotto un po’ alla volta. All’inizio meglio mangiare alimenti secchi, facili da digerire:
pane tostato fette biscottate crackers banane mele
Successivamente potete introdurre riso e pasta ma conditi con un filo d’olio crudo e carni bianche. Per riprendervi del tutto, seguite un periodo più o meno lungo di dieta disintossicante, accompagnata da fermenti lattici per riequilibrare l’intestino. Inoltre, la può essere d’aiuto per contrastare la sensazione di nausea e vomito.
Cosa fa venire il pesce crudo?
Video Anisakis Laboratorio Ispezione degli alimenti IZSM Portici Quali sono i rischi associati al consumo di pesce crudo? Mangiare pesce crudo comporta sicuramente un alto rischio malattie alimentari causate da batteri patogeni, oppure da parassiti. Il rischio maggiore per chi consuma pesce crudo si chiama Anisakidosi.
Cos’è l’Anisakidiosi? L’anisakidosi è una parassitosi che può colpire l’uomo, causata da vermi tondi (nematodi), appartenenti alla famiglia degli Anisakidae, composta da quattro generi: Anisakis, Pseudoteranova, Contracaecum e Hysterothylacium. Di questi, i primi tre generi sono responsabili di zoonosi mentre il genere Hysterothylacium non è patogeno, data la termolabilità del parassita (muore alla temperatura di 30°C).
Il genere Anisakis, il più diffuso, è il principale responsabile di parassitosi, in quanto è in grado di sopravvivere a trattamenti di affumicatura a freddo, a trattamenti di marinatura con basso tenore di sale ed alle temperature di refrigerazione. Viene ucciso con temperature superiori a 60°C per 10 minuti e dal congelamento (almeno 24 ore a – 20°C).
Nei pesci le larve, che misurano circa 4 mm, si localizzano sulle sierose di fegato, ovaio, stomaco e intestino, dove tendono a incistarsi e assumere una caratteristica forma a spirale. Quali sono i prodotti ittici maggiormente a rischio per l’Anisakidosi? I prodotti ittici dei mari italiani più frequentemente parassitati sono: sardine, aringhe, acciughe, sgombri, gadidi, sparidi, lophidi, pesci S.
Pietro, pesci sciabola (quasi sempre infestati), totani, calamari. Il rischio è legato al consumo dei prodotti ittici crudi, marinati o affumicati a freddo, sushi e sashimi, ultime tendenze provenienti dall’Oriente, semiconserve domestiche a base di pesce azzurro. Il parassita adulto vive nello stomaco di vari cetacei (balene, delfini). Questi eliminano attraverso le feci le uova da cui si sviluppano le larve, dette di secondo stadio, che infestano piccoli crostacei marini, divenendo larve di terzo stadio. Quando questi crostacei vengono ingeriti dall’ospite definitivo, la larva diventa di quarto stadio e il ciclo ricomincia.
- Pesci e cefalopodi che si cibano di questi crostacei possono fungere da ospiti intermedi, dove la larva rimane di terzo stadio e tende a migrare in cavità celomatica.
- Se il pesce parassitato viene ingerito dall’ospite definitivo, il ciclo si chiude.
- In che modo l’uomo può contrarre l’Anisakidosi? L’uomo può comportarsi da ospite accidentale contraendo l’infezione cibandosi degli ospiti intermedi naturali (pesci e cefalopodi: come acciughe, sardine, sgombri, totani e calamari).
Sono a rischio le popolazioni che maggiormente si cibano di pesce crudo (Paesi Scandinavi, Giappone). Come si manifesta l’infezione da Anisakis? Quali sono i principali sintomi? Nella migliore delle ipotesi, una volta ingerita, la larva muore o non dà sintomi.
- In alcuni casi, soprattutto quando vengono ingerite più larve, in seguito all’assunzione di pesce infetto crudo, non completamente cotto o in salamoia, le larve possono impiantarsi sulla parete dell’apparato gastrointestinale, dallo stomaco fino al colon.
- Per difendersi dai succhi gastrici, attaccano le mucose con grande capacità perforante, determinando una parassitosi acuta o cronica.
La parassitosi acuta da Anisakis insorge già dopo poche ore dall’ingestione di pesce crudo e si manifesta con intenso dolore addominale, nausea, vomito ed occasionalmente febbre. Le forme croniche sono diverse, possono mimare svariate malattie infiammatorie e ulcerose del tratto intestinale oppure coinvolgere altri organi come fegato, milza, pancreas, vasi ematici e miocardio.
- E l’allergia ad Anisakis? Da alcuni anni, Anisakis è stato riconosciuto anche come possibile causa di allergia.
- I soggetti sensibili possono avere reazioni allergiche non solo ingerendo il pesce infetto ma anche manipolandolo o respirando allergeni diffusi nell’aria.
- Si tratta di un rischio prevalentemente legato alla lavorazione del pesce (malattia professionale che riguarda i lavoratori nel settore della trasformazione dei prodotti ittici).
Sono state osservate in questi casi reazioni che vanno dall’orticaria, all’angioedema, alla rinite o congiuntivite, all’asma, allo shock anafilattico. L’allergia all’Anisakis compare immediatamente dopo esserne venuti a contatto, o dopo aver consumato il pesce contaminato a causa della sensibilizzazione alle proteine antigeniche termoresistenti del parassita.
Su cosa si basa la diagnosi di Anisakidosi? La diagnosi di sospetto di Anisakidosi si basa sull’osservazione dei sintomi e sul riscontro dell’ingestione di prodotti ittici a rischio. La diagnosi di certezza è molto difficoltosa e può essere emessa solo previa identificazione del parassita nei tessuti prelevati durante biopsie o endoscopie.
Non esistono, infatti, test sierologici affidabili. Per quanto concerne invece le forme allergiche si possono utilizzare alcune prove di laboratorio e lo skin test che consente di vedere la reazione del paziente dopo contatto con gli antigeni del parassita.
- Qual è la terapia per l’infezione da Anisakis? La cura dell’anisakidosi richiede molto spesso l’intervento chirurgico, per asportare la parte dello stomaco o dell’intestino invasa dai parassiti.
- Una volta contratta la malattia, infatti, la rimozione endoscopica della larva sembra essere la terapia di scelta, considerando che i comuni antielmintici non sono stati ritenuti fino ad ora efficaci.
Come prevenire l’infezione da Anisakis? Questi nematodi migrano dalle viscere del pesce alle sue carni se, dopo la cattura non viene prontamente eviscerato. Pertanto è importante osservare attentamente i prodotti della pesca ed eviscerarli il prima possibile dopo la cattura per evitare la migrazione delle larve nella carne.
Risulta altresì fondamentale l’impiego di adeguati processi di preparazione del cibo. E’ noto infatti che le forme gastroenteriche della malattia sono riconducibili all’assunzione di prodotti ittici contenenti larve vive. Per questa ragione durante la lavorazione dell’alimento si dovrebbero utilizzare tutti gli accorgimenti necessari ad assicurare la morte delle stesse.
Quali trattamenti tecnologici possono eliminare o ridurre il rischio di Anisakidosi? Le larve dei parassiti appartenenti alla famiglia Anisakidae sono devitalizzate se il prodotto ittico viene congelato (-20°C per 24 ore) o cotto (almeno 60°C a cuore per 10 minuti).
- Una circolare del ministero di sanità del 1992, ancora in vigore, obbliga chi somministra pesce crudo o in salamoia ad utilizzare pesce congelato (il limone e l’aceto non hanno alcun effetto sul parassita) o a sottoporre a congelamento preventivo il pesce fresco da somministrare crudo.
- La salagione secca, se il sale è in grado di raggiungere tutte le parti del muscolo ed è impiegato alle giuste concentrazioni, devitalizza il parassita.
L’affumicatura e la marinatura non sono in grado di uccidere con sicurezza le larve di anisakidi. La marinatura riesce ad uccidere le larve dopo circa 4 settimane nei casi in cui si proceda utilizzando il 6% di sale ed il 4% di acido acetico. Nel caso dell’ affumicatura, invece, l’87% delle larve di Anisakis presenti nel cibo resistono se la temperatura impiegata è di 28°C, mentre la devitalizzazione è completa se il procedimento prevede l’uso di una temperatura di 53 – 60°C.
Quali comportamenti si possono adottare per ridurre o evitare il rischio di Anisakiasi? o Evitare il consumo di prodotti ittici crudi; o Acquistare già eviscerati, i pesci più a rischio di infestazione o in alternativa il pescato deve venire eviscerato al più presto dal momento della cattura (con distruzione dei visceri) per allontanare i parassiti presenti, prima del loro passaggio nella muscolatura; o Cuocere in modo completo e corretto i prodotti ittici; o Se si desidera preparare piatti a base di pesce crudo o poco cotto effettuare un congelamento preventivo.
Riferimenti normativi Legge 283/1962, art.5, punto D Ordinanza Ministeriale 12 maggio 1992 Regolamento CE/853/04 Sezione VIII, Capitolo III, Capitolo V Regolamento CE/2074/05, Allegato II, Sezione I, Capitolo I, II Regolamento CE/1020/08, Allegato II Approfondimenti-http://www.orsacampania.it/wp-content/uploads/2009/12/OpusoloAnisakis.pdf Dr.ssa Eloise Peirce ORSA
Cosa succede se la carne cuoce più del dovuto?
Il sapore intenso – Durante le cotture lunghe avviene un’altra reazione chimica fondamentale: alcune proteine, con il procedere della cottura, degradano, liberando i singoli amminoacidi che le compongono. L’importanza di questo fenomeno sta nel fatto che, se da un lato le proteine intere sono pressoché insapori, non lo sono affatto gli amminoacidi che le compongono.
Una cottura sufficientemente lunga libererà una quantità rilevante di amminoacidi, che contribuiranno in maniera marcata al sapore finale. Mai sentito parlare del famoso / famigerato glutammato? Viene aggiunto in tantissimi cibi, ad esempio nel dado da brodo, come “esaltatore di sapidità”. Ebbene, il glutammato non è nient’altro che uno dei composti che si liberano dalla degradazione delle proteine della carne.
Se portiamo avanti la cottura troppo velocemente, anche il sapore non sarà ottimale, poiché in un tempo troppo breve non tutte le proteine si degraderanno, limitando la presenza degli amminoacidi “saporiti”.