Quale Pesce Può Mangiare Un Diabetico?

Quale Pesce Può Mangiare Un Diabetico
2 Gennaio 2010 / in NEWS – 2010 / Per i pazienti diabetici consumare pesce regolarmente potrebbe fornire un importante aiuto nel mantenere in buona salute i reni. Dai risultati di un recente studio condotto dai ricercatori dell’Università di Cambridge è emerso infatti che, con il suo alto contenuto proteico, la carne di pesce sia un alimento ideale per individui affetti da diabete.

In particolare su 22 mila volontari presi in considerazione durante la ricerca, di cui 517 diabetici di tipo 2, coloro che dichiaravano di consumare pesce più di una volta alla settimana risultavano avere un livello di macroalbuminuria inferiore rispetto a quelli che invece mangiavano poco pesce. La macroalbuminuria è un termine che indica la presenza di una proteina del sangue, l’albumina, nelle urine, e che se in quantità elevate può essere il campanello di allarme per un eventuale malfunzionamento a livello renale.

I ricercatori suggeriscono comunque di fare una distinzione tra i pesci da inserire nell’alimentazione di un diabetico: orata, merluzzo, cernia, gamberi e scampi sono infatti meno grassi e quindi più indicati di altri pesci, quali ad esempio anguilla, salmone, sgombro e aringa.

Chi ha il diabete può mangiare il tonno?

Pesce – Il pesce è ricco di acidi grassi polinsaturi, in particolare gli omega 3, in più svolge un’azione protettiva nella prevenzione del diabete di tipo 2. Da preferire: Pesce bollito, in umido o al forno, tonno sott’olio (sgocciolato) o al naturale. Da assumere con moderazione: Pesce fritto, frutti di mare. Da evitare o da assumere solo occasionalmente: Uova di pesce (caviale).

Quanti grammi di pesce può mangiare un diabetico?

Se hai il diabete il pesce ti dà una mano Per chi ha il diabete il pesce è un ottimo alimento. Numerosi studi attestano i suoi benefici effetti protettivi e gli “Standard italiani di cura del diabete mellito” redatti da e ne raccomandano il consumo di almeno due porzioni la settimana nel quadro di un’alimentazione sana ed equilibrata.

Infatti, se è vero che i grassi di origine animale (gli acidi grassi saturi, che troviamo nei salumi, negli insaccati, nelle carni rosse, nei formaggi, soprattutto stagionati) sono potenzialmente dannosi per l’organismo, se consumati in eccesso, questo non vale per quelli del pesce, che invece è ricco di acidi grassi polinsaturi, in particolare gli omega 3, che hanno una efficace azione antiaterosclerotica.

È quindi importante la qualità dei grassi che introduciamo nell’organismo. Per le persone con diabete il pesce si rivela un prezioso alleato contro le complicanze, anzitutto cardiovascolari (come infarto e trombosi), ma la sua azione protettiva si esplica anche nella prevenzione del diabete di tipo 2,

  • Infatti, sottolinea il documento di Amd e Sid, secondo varie ricerche, gli acidi grassi saturi aumentano il rischio di diabete di tipo 2, mentre gli acidi grassi poli e monoinsaturi contenuti in cibi di origine vegetale (come l’olio d’oliva) e, appunto, nel pesce, lo riducono.
  • La maggior parte degli studi disponibili mostra un effetto protettivo del pesce nei confronti del diabete di tipo 2.

Il pesce, consumato nelle dosi corrette, fa bene sia a chi ha il diabete (di tipo 1 o di tipo 2) sia a chi non ce l’ha e vuole evitare di sviluppare un tipo 2. Dal momento che i grassi sono necessari al nostro organismo (sono una fonte e una riserva di energia, servono come costituenti delle strutture dell’organismo, trasportano vitamine), conviene dunque sostituire quelli saturi con quelli insaturi.

Meglio, quindi, una pietanza di pesce azzurro (come lo sgombro) che un panino con la pancetta. In particolare, pesci che contengono alte quantità di benefici acidi grassi insaturi omega 3 sono sardine, sgombri e alici, salmone, dentice (gamberi e gamberetti sono più “grassi” e meno consigliabili, ma hanno comunque meno acidi saturi di carni rosse e pollo).

Secondo gli Standard Amd-Sid, nei soggetti con diabete tipo 2 e livelli elevati di trigliceridi nel sangue, la supplementazione con un massimo di 3 grammi al giorno di omega 3 da olio di pesce marino è in grado di migliorare i livelli di trigliceridi nel sangue, senza effetti negativi.

Gli acidi grassi polinsaturi della serie omega-3, se assunti in quantità pari a circa 2-3 g/die, in forma di supplemento, riducono i livelli plasmatici di trigliceridi del 25-30%. Quindi, sempre avendo cura di non esagerare nel consumo di nulla (perciò nemmeno di pesce), ricordiamoci che, se assunto nelle quantità giuste, il pesce, grazie agli omega 3, fa bene, in quanto protegge dall’aterosclerosi, perché stimola la sintesi del colesterolo Hdl, quello cosiddetto “buono”, difendendo l’organismo dalle complicazioni cardiovascolari e circolatorie, che sono tra le più insidiose conseguenze del diabete, sia di tipo 1 sia di tipo 2.

Oltre a contribuire alla prevenzione delle complicanze cardiovascolari, il consumo equilibrato di pesce ha un’azione protettiva anche dei reni. Esistono anche studi che evidenziano come in chi ha il diabete il pesce svolga una azione positiva anche nella prevenzione della nefropatia diabetica, una complicanza che può riguardare sia il diabete di tipo 1 sia il diabete di tipo 2.

Tra questi studi, si segnala quello di un gruppo di ricercatori svedesi dell’Università di Umea, guidato da Anna Möllsten, ritenuto interessante proprio perché condotto su una popolazione della Scandinavia, area in cui risulta molto alta l’incidenza di questa complicanza del diabete (tra il 10 e il 30%).

Un Paese scandinavo vicino alla Svezia, la Finlandia, è una delle regioni europee in cui è più diffuso il diabete di tipo 1. La prevenzione della complicanza renale è affidata all’esame della microalbuminuria: se ci sono nelle urine tracce della proteina chiamata albumina al di sopra dei 15 mg nell’arco di 24 ore, c’è rischio di danno ai reni.

I ricercatori svedesi hanno studiato l’effetto di diversi modelli alimentari nella comparsa di microalbuminuria nei diabetici di tipo 1: su 1.150 diabetici di tipo 1 con una durata del diabete superiore a 5 anni, sono stati individuati 75 casi di microalbuminuria. Confrontando l’alimentazione seguita dalle persone analizzate, è emerso che, tra i soggetti con microalbuminuria e quelli senza, non vi era differenza nel consumo di proteine totali, di proteine della carne o vegetali e di grassi.

C’era invece differenza tra i due gruppi nel consumo di pesce e il rischio di microalbuminuria è risultato inferiore del 51% nei soggetti che avevano consumato una quantità maggiore di proteine di pesce (valore medio di 9,35 g di proteine per giorno, corrispondente a circa 53 grammi di pesce al giorno) rispetto a chi ne aveva consumato di meno (valore medio di 2,72 g/die corrispondente a 15 grammi di pesce).

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Un altro studio, condotto dai Medical Research Council Epidemiology Unit di Cambridge, da un gruppo di ricerca coordinato da Amanda Adler, ha ribadito che un consumo di pesce regolare (due volte la settimana) contribuisce a prevenire lo sviluppo di nefropatie in persone con diabete. L’indagine ha esaminato 22mila soggetti, di cui 517 diabetici.

Nel gruppo con diabete, l’8,3% aveva elevati livelli di albumina nelle urine, indicatore, come si è detto, di problema renale (era l’1% nel gruppo dei non diabetici). Si è rilevato che l’elevata presenza di albumina nelle urine era molto più frequente nei diabetici che consumavano pesce meno di una volta la settimana, il 18% dei casi; tra chi ne mangiava due o più volte la settimana, la macroalbuminuria si presentava nel 4% dei casi.

Quali sono i formaggi per i diabetici?

Formaggi adatti a persone diabetiche – Tali soggetti possono mangiare sia formaggi magri, quindi contenenti tra il 10% ed il 25% di grasso sulla cosiddetta sostanza secca, e sia quelli extramagri, che invece contengono una percentuale di grasso inferiore al 10%.

  1. Tra i prodotti lattiero caseari che potrebbero essere mangiati vi è anche la ricotta, che non è propriamente un formaggio, ma comunque rappresenta un alimento importante ed un latticino leggerissimo.
  2. In particolare, tra i formaggi veri e propri troviamo i celebri Grana Padano e Parmigiano Reggiano, la cui qualità e bontà sono noti anche a livello internazionale.

Poi abbiamo il Quark, un prodotto proveniente dall’Europa Centro-Settentrionale, molto simile ad una ricotta nostrana. E a proposito di queste ultime, di ottima qualità vi è ad esempio la ricotta mista con panna La Pecorella, originaria del Lazio. Tornando al Quark, esso deriva dal latte scremato pastorizzato ad alte temperature e presenta una consistenza alquanto cremosa, adatta quindi anche ad essere spalmata sulle fette di pane, poi confezionata e venduta in vaschette.

  • Di conseguenza, non evidenzia una sua forma particolare.
  • Invece, per quanto riguarda Parmigiano e Grana, sono noti formaggi a pasta dura originari del Nord Italia e che vengono lasciati stagionare per molto tempo, dai 9 ai 24 mesi ed oltre.
  • Essi sono realizzati partendo dal latte crudo parzialmente scremato, con valori di grasso tra l’1,8% ed il 2,5%, e che possono essere consumati a tocchetti o grattugiati.

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Quanti grammi di pasta può mangiare un diabetico?

Distribuito a settembre un dvd contenente le nuove indicazioni antiglicemia e un ricettario di golosità che comprende anche pasta e pane non più proibiti a chi ha problemi con gli zuccheri. La parola all’esperto Le ricette de “La dolce vita”: 1 – 2 – 3 Può essere “dolce” anche la vita del diabetico.

  1. E dei tanti che non pronunciano quella parola e dicono solo «ho un po’ di glicemia alta».
  2. Lo affermano proprio i diabetologi, avendo intitolato (con notevole ironia, è vero, ma anche con sostanziale aiuto) La dolce vita un programma di golose ricette a uso di tutta la famiglia e pure di invitati di riguardo, benché calibrate sui bisogni del signore o della signora con gli zuccheri nel sangue fuori regola.

Nel 2008, quando l’iniziativa è partita, si arruolarono addirittura i cuochi più famosi delle varie regioni d’Italia per scrivere un libro-ricettario al fine di «dimostrare che anche l’alta cucina è compatibile con la dieta giusta», spiega Giuseppe Marelli, responsabile di Diabetologia e Malattie Metaboliche all’ospedale di Desio (Mb) e consigliere nazionale dell’Associazione Medici Diabetologi per cui coordina il progetto La dolce vita.

Il volume fu distribuito gratuitamente e andò presto esaurito. Ora si replica, stavolta con un dvd contenente 20 ricette più semplici illustrate passo passo “come si fa”. Il titolo è diventato La dolce vita in pratica, la distribuzione sarà di nuovo gratuita a cominciare da settembre. Niente più apartheid, dunque, a tavola per chi soffre di diabete,

Perché qui si sfata anche un mito diffuso: non è vero che sono proibiti pasta e pane per chi non ha una corretta regolazione della glicemia. Tutt’altro. Lo si vede nel dvd e lo riafferma il dottor Marelli. -Ma scusi, è, era una regola notoria: né pane né pasta né dolci per chi ha il diabete.

E neanche patate. Ma quand’è che voi specialisti avete cambiato idea? «Da un pezzo. Oggi viene raccomandato che l’apporto dei carboidrati raggiunga in media il 50% del fabbisogno calorico. Per la precisione, l’ultima raccomandazione della diabetologia italiana indica percentuali tra 45 e 60». -Ma cos’è che vi ha fatto fare una tale inversione a U? Tra l’altro ignota a tanti malati ma, creda pure, anche a tanti dietologi.

«Si è scoperto che in realtà una tale quota di carboidrati è essenziale per un normale svolgimento delle funzioni del corpo». -Come è diversa allora la nutrizione raccomandata per chi è normale e per chi è affetto da diabete? «Le differenze sono minimali.

  • Chi soffre di diabete deve stare attento a due cose: 1) ai carichi.
  • Che vuol dire non mangiare troppi carboidrati tutti nello stesso pasto.
  • Mai per esempio pasta, pane e patate insieme; 2) consumare una quota molto bassa di zuccheri semplici.
  • Che sono i dolci, lo zucchero nel caffè, i gelati, le bibite zuccherate».
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-Questo perché? «Perché gli zuccheri semplici vengono assorbiti più rapidamente degli zuccheri complessi, come pane e pasta. Hanno perciò un impatto più immediato sulla glicemia, procurando per così dire un’impennata. Nelle persone senza diabete ci pensa il pancreas a “correggere” e stabilizzare i valori secernendo una maggiore quantità di insulina, cosa su cui non può contare il diabetico».

  • Dunque, par di capire, sono gli sbalzi di glicemia a essere dannosi? «Per l’appunto.
  • Se la glicemia due ore dopo il pasto sale a più di 180 diventa un problema perché crea delle alterazioni a livello dei vasi sanguigni».
  • Alterazioni che poi restano, è così? «Sì, si accumulano, provocando l’ aterosclerosi, con un restringimento dei vasi sanguigni che può poi sfociare in infarto, ictus ».

-Dunque, sembra di capire che il consumo di carboidrati vada distribuito lungo la giornata così da tenere il valore della glicemia più o meno allo stesso livello. «Sì, a pranzo per esempio non si mangeranno più di 70-80grammi di pasta e niente pane. Da tenere per la sera, per esempio».

  • Per essere più chiari: non si deve mangiare neanche meno di 70-80 grammi di pasta o l’equivalente in pane.
  • Una paziente che aveva chiesto al medico se, per qualche pranzo fuori casa, poteva cavarsela con un toast, si è sentita rispondere di no.
  • Ma non perché, come poteva attendersi, il toast fosse giudicato malsano dallo specialista.

No, perché, si sentì dire con suo grande stupore, in un toast c’è “troppo poco” pane! Il colmo per un diabetico (informato alla vecchia maniera). «Giustissima quella prescrizione. E giustissimo il concetto della distribuzione del consumo di carboidrati lungo i vari pasti della giornata.

Per i dolci però resta il divieto “alla vecchia maniera”: mai o in pochissima quantità». – Per finire: quando si può dire “ho un po’ di glicemia alta” o si deve francamente ammettere “ho il diabete”? «Se la glicemia a digiuno al mattino è entro100, è tutto normale». -Scusi, ma il limite della normalità era 110, figura ancora così sui fogli di diversi laboratori di analisi.

Avete cambiato anche qui? «Sì, si è visto che il limite della normalità è più giusto a 100. Tra i valori 100 e 126 si parla di “intolleranza glucidica”. Da 126 in su si fa diagnosi di diabete. Quanto al fatto che non siano molto conosciute a livello di pubblico le linee guida corrette e aggiornate per il diabete, la nostra iniziativa di diffondere gratuitamente il dvd La dolce vita va appunto nella direzione di aumentare la consapevolezza diffusa».

Che tipo di insalata può mangiare un diabetico?

Verdure per diabetici: quali sono quelle consigliate? – Esattamente come non tutte le verdure sono uguali dal punto di vista nutrizionale, lo stesso vale per l’indice glicemico. Questo infatti è basso nella maggior parte degli alimenti che fanno parte della categoria di verdure, ma con alcune eccezioni.

Tra le verdure consigliate per i diabetici, in quanto presentano un IG molto basso, troviamo quelle a foglia verde come lattuga, spinaci, bietole e rucola, le crucifere come cavoli, cavolfiori e, e gli ortaggi come peperoni, melanzane, zucchine, pomodori. Infine, tra la verdura consentita per i diabetici rientrano anche le carote che, pur essendo zuccherine, hanno un IG basso (circa 30).

Se consumate a crudo, queste verdure possono essere introdotte nella dieta senza preoccupazione da chi soffre di diabete. Al contrario, alcune di esse (come appunto le carote) da cotte presentano un IG un po’ più alto, che deve essere tenuto in considerazione nel carico glicemico del pasto.

Chi ha il diabete può mangiare l’insalata di mare?

Consumo di pesce per diabetici – Il pesce è da considerarsi come un’ ottima fonte proteica, in quanto i grassi in esso contenuti, sono in grado di migliorare i livelli lipidici nel sangue, determinando una forte riduzione del rischio di complicazioni sia a livello renale che cardiovascolare, inoltre il consumo delle sue proteine, migliora il metabolismo glucidico e lipidico in soggetti sovrappeso.

Chi soffre di diabete può mangiare una banana al giorno?

Proprietà Nutrizionali – Le banane sono frutti altamente energetici, che contengono 12-13g di carboidrati semplici per 100g di parte edibile: questa caratteristica le rende poco adatte al consumo frequente in presenza di diabete mellito, Gli zuccheri contenuti nelle banane sono per l’83% monosaccaridi o piccoli polimeri ed il contenuto di fibra alimentare è molto basso, circa 1,8g. Ne risulta un indice glicemico abbastanza elevato, circa 50, valore calcolato sulla media di specie e gradi di maturazione differenti.

Come condire la pasta per abbassare la glicemia?

Abbinate la pasta alla verdura e al pesce – Sul piano prettamente culinario, gli ingredienti che accompagnano la pasta sono decisivi per esaltare il cibo preferito dagli italiani e per regalare ai commensali un’esperienza piacevole a tavola. La scelta del condimento per la pasta però è cruciale anche per ciò che riguarda la salute, in primis perché è il condimento che viene aggiunto alla pasta ad apportare la gran parte delle calorie colpevoli dell’aumento del peso.

Per quel che riguarda l’indice glicemico, è giusto sottolineare che la pasta senza alcun tipo di condimento ha una maggiore capacità di innalzare il contenuto di glucosio nel sangue se confrontata con la pasta a cui vengono aggiunti olio extravergine d’oliva e verdure, Queste ultime, infatti, rallentano decisamente l’assorbimento degli zuccheri nell’intestino e tengono a bada la presenza di glucosio nel sangue grazie alle fibre solubili contenute in esse.

Perciò, accompagnare la pasta con delle verdure può rivelarsi un’ottima decisione sia in termini di gusto, perchè alcune ricette che prevedono la presenza di questo ingrediente sono invitanti e gustose, sia in termini di salute, dal momento che le verdure abbassano l’indice glicemico del piatto e, quindi, anche della pasta.

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Che tipo di biscotti può mangiare un diabetico?

Consigliatissimi i biscotti a base di farina d’avena o con cereali d’avena, ottimi per la prima colazione perché ricchi di fibre.

Quale frutta secca abbassa la glicemia?

Il risultato è che, se non si esagera, noci, mandorle, nocciole e simili aiutano a tenere sotto controllo l’appetito e abbassano la glicemia; inoltre, il consumo quotidiano di circa 15 grammi di noci e altri 15 grammi fra nocciole e mandorle riduce il rischio di diabete di tipo 2, patologie cardiovascolari e tumori.

Chi ha il diabete può mangiare la frittura di pesce?

I fritti aumentano il rischio di diabete gestazionale Quotidiano on line di informazione sanitaria Mercoledì 25 GENNAIO 2023 Scienza e Farmaci segui quotidiano sanita,it di Maria Rita Montebelli 09 OTT – Le donne che consumano regolarmente cibi fritti prima di concepire, sono ad elevato rischio di sviluppare diabete durante la gravidanza.

  • Lo sostiene uno studio pubblicato su, l’organo ufficiale della European Society for the Study of Diabetes, da ricercatori dell’ Eunice Kennedy Shriver National Institute of Child Health and Human Development (NICHD), afferente ai National Institutes of Health americani.
  • Il diabete gestazionale, una condizione caratterizzata da livelli di glicemia elevati in particolare nell’ultimo trimestre di gravidanza, può portare a macrosomia fetale, ittero neonatale e altre complicanze, fino alla morte del feto, se non gestito adeguatamente.

Le donne che presentano questa complicanza gravidica sono inoltre a rischio di sviluppare un diabete di tipo 2 conclamato in seguito. Già in passato, il frequente consumo di fritti è stato messo in correlazione con il rischio di sovrappeso e obesità. Questo studio è tuttavia il primo ad aver esaminato la relazione tra consumo abituale di cibi fritti prima della gravidanza e diabete gestazionale.

I ricercatori americani hanno valutato 21.079 gravidanze da 15.027 donne appartenenti alla coorte del Nurses’ Health Study II, uno studio prospettico su 116.671 infermiere americane di età compresa tra i 25 e i 44 anni al momento dell’arruolamento, nel 1989. Ogni due anni alle partecipanti viene inviato un questionario con il quale si indagano lo stato di salute, le abitudini di vita e l’assunzione di farmaci.

Dal 1991 vengono raccolte anche informazioni sulla dieta, attraverso un questionario validato (il FFQ Food Frequency Questionnaire ). Alle domande ‘quanto spesso mangi cibi fritti fuori casa’ (es. patatine fritte, pollo o pesce fritto) e ‘quanto spesso consumi fritture fatte in casa’ le donne potevano rispondere in quattro modi: meno di una volta a settimana, 1-3 oltre a settimana, 4-6 volte a settimana, tutti i giorni.

Nell’arco di 10 anni di follow up, gli autori hanno registrato 847 casi di diabete gestazionale; il rischio di sviluppare questa condizione nelle donne che consumavano cibi fritti tutti i giorni è risultato oltre il doppio rispetto a quelle che ne mangiavano meno di una volta a settimana. Maria Rita Montebelli 09 ottobre 2014

Particolarmente a rischio apparivano le donne che consumavano cibi fritti fuori casa, mentre le consumatrici di fritture casalinghe non mostravano un aumento del rischio di diabete gestazionale statisticamente significativo. Secondo gli autori l’aumento di rischio di diabete gestazionale indotto dai fritti sarebbe legato alla generazione di prodotti nocivi che si sviluppano con la frittura, che deteriora gli oli attraverso i processi di ossidazione e idrogenazione, fa perdere acidi grassi insaturi, quali il linoleico e il linolenico e aumenta la quantità dei corrispondenti derivati ‘trans’ (acido trans-linoleico e trans-linolenico).

La frittura genera anche elevati livelli di prodotti di glicazione avanzata (AGE) dietetici, che sono stati messi in correlazione con l’insulino-resistenza, il danneggiamento delle cellule beta pancreatiche e il diabete, poiché promuovono stress ossidativo e infiammazione. La riprova di questo loro ruolo negativo è che studi di intervento con diete a basso contenuto di AGE hanno determinato un miglioramento della sensibilità insulinica, ridotto lo stress ossidativo e l’infiammazione.

Il rischio aumenta quando gli oli per la frittura vengono riutilizzati più volte, come avviene abitualmente per i fritti acquistati fuori casa. I risultati dello studio suggeriscono dunque che le donne in età fertile dovrebbero limitare al massimo il consumo di cibi fritti, in particolare fuori casa.

Sono necessari tuttavia ulteriori studi per comprendere appieno il meccanismo causale di questa associazione. © Riproduzione riservata Altri articoli in Scienza e Farmaci Quotidianosanità.it Quotidiano online d’informazione sanitaria.P.I.12298601001 Via Giacomo Peroni, 400 00131 – Roma Via Vittore Carpaccio, 18 00147 Roma (RM) Direttore responsabile Cesare Fassari Direttore editoriale Francesco Maria Avitto Presidente Ernesto Rodriquez Pubblicità Tel.

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